Il voto sulla manovra Le indicazioni della Direzione nazionale sono state rispettate Riceviamo e pubblichiamo di Giorgio La Malfa Di quanta indignazione trasuda lo scritto di Luca Ferrini su "La Voce Repubblicana" di sabato scorso e che lezione morale mi impartisce! Dunque io avrei violato "apertamente e volontariamente le regole del vivere all’interno di un partito", votando sulla manovra economica in modo difforme da "come il documento finale (della Direzione Nazionale) indicava testualmente." Sfortunatamente per Ferrini e per la sua elevatissima dirittura morale, le cose non stanno affatto così. Io ho votato ESATTAMENTE come stabilito dalla Direzione Nazionale. Il documento della DN al quale egli si richiama, dice testualmente che "nonostante inevitabili perplessità, la Direzione Nazionale del Partito dà mandato al gruppo parlamentare di votare a favore della conversione in legge del decreto relativo alla manovra". Ed io, che oltretutto lo avevo proposto alla Direzione, ho votato A FAVORE della conversione in legge del decreto, come risulta dal resoconto dei lavori della Camera di giovedì 29 luglio e come potrà confermare al Ferrini, se questi non ha voglia di leggere le carte, l’on. Nucara che era seduto accanto a me. Non scendo all’intollerabile livello di inciviltà del Ferrini: gli suggerisco di rivolgere a se stesso le invettive che mi ha lanciato. Il giovane vicesegretario del PRI, mostrando di fare confusione fra cose diverse, scrive che io "ho votato contro la fiducia al Governo." E’ vero, ma non vi era vincolo posto dalla Direzione sul voto di fiducia. Così scrivendo egli dà prova di ignorare la differenza fra il voto finale sul provvedimento e un eventuale voto di fiducia che il Governo PUO’ (non deve) richiedere nel corso dell’esame del testo. La DN non ha esaminato il problema di come avremmo dovuto votare qualora il Governo (che ancora non lo aveva fatto) avesse chiesto la fiducia. Se ne avessimo discusso o se il giovane e riflessivo vicesegretario avesse sollevato il problema, gli avrei detto che non vi erano a mio avviso le condizioni per un voto favorevole sulla fiducia. Debbo anche aggiungere che, leggendo il discorso che avevo fatto lunedì alla Camera - come un esponente della Direzione che voglia intervenire sulla materia avrebbe dovuto fare - una persona di media intelligenza avrebbe compreso che il mio orientamento era per il NO a una eventuale fiducia. Avevo anche riferito alla Direzione il commento di un esponente della maggioranza che mi aveva ascoltato lunedì: "per il Governo è la motivazione più umiliante per il voto favorevole a un provvedimento". Il vicesegretario del PRI capisce il senso politico delle parole meno di un qualunque esponente della maggioranza? Dunque anche su questo il Ferrini avrebbe fatto meglio a tacere e risparmiarsi il ridicolo. Ma forse, a questo punto, egli cercherà di argomentare che il voto finale favorevole portava con sé l’obbligo di un voto favorevole sulla fiducia. In realtà non è così: per esempio noi votammo durante il Governo Prodi a favore delle missioni militari italiane anche se votavamo no alla fiducia a quel governo. Allora il Ferrini dirà che l’implicazione è nella direzione opposta: noi siamo nella maggioranza e dunque votiamo per conseguenza a favore del decreto. Ma se fosse stato così, la DN non avrebbe scritto nel suo comunicato che, nonostante le perplessità, essa dava mandato a noi parlamentari di votare a favore della conversione del decreto. Il senso di questa espressione è che, se le perplessità fossero state maggiori, noi potevamo arrivare a un voto non favorevole di astensione o di contrarietà. Dunque non vi era un vincolo politico precedente e superiore. Voglio aggiungere infine che all’indomani della conversione del decreto è scoppiato il putiferio nel PDL e nel Governo. Fini ha praticamente rotto con Berlusconi. La situazione politica cambia radicalmente. E il PRI che fa? Prende le distanze da Berlusconi a seguito di Fini? O addirittura mantiene il rapporto con Berlusconi collocandosi a destra di Fini? Meno male – io direi - che un segnale giunto il giorno prima ha indicato una posizione autonoma del PRI. Mio padre diceva che il PRI non era né di destra né di sinistra, ma che era più avanti. Ma per essere più avanti bisogna capire le cose per tempo. Almeno questo il Ferrini lo capisce? Quando sentiva qualche repubblicano fare discorsi particolarmente sciocchi, Bruno Visentini ricorreva a un detto trevigiano che suona così: "Prima di parlare, taci". Peccato che il giovane Ferrini non abbia conosciuto Visentini. |